PARLARE DI MADRE SPERANZA E’PARLARE DI UNA DONNA ORDINARIA CHE HA VISSUTO STRAORDINARIAMENTE

La parola di Dio or ora ascoltata, sembra, detto in gergo sportivo, che abbia voluto preparare la volata, per metterla in giusta evidenza, a Madre Speranza.

La vita di Madre Speranza ci aiuta a comprendere le parole or ora ascoltate: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole, per confondere i forti; quello che è nulla, per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio … se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.

Sono parole che coloriscono le caratteristiche dei santi, e che descrivono con precisione Madre Speranza.

Parlare di lei è parlare di una donna ordinaria che ha vissuto straordinariamente, tanto da poter essere considerata – non è esagerato – un gioiello della Chiesa. Dicendo gioiello penso al diamante, pietra preziosa composta da tante faccette. Tutte importanti e necessarie che lo rendono prezioso e bello; l’assenza di qualcuna di esse lo renderebbe imperfetto. L’esperienza di fede di Madre Speranza è stata variegata e ricca di tante sfaccettature da creare meraviglia ma, nonostante ciò, riusciamo a sentirla una di noi. Penso al mio pomeriggio passato con lei a sbucciare fagiolini e a parlare come se ci conoscessimo da tempo. I santi mettono sempre a proprio agio. Papa Francesco dice che “la strada della santità, è la strada del cristiano”.

Nella nostra società si parla o si canta abbondantemente di amore, eppure se ne incontra poco in giro, ci sentiamo tutti un po’ orfani, soli e abbandonati al nostro destino nonostante viviamo la maggior parte del nostro tempo tra la gente.

Ci chiediamo: ma c’è un’alternativa a questa situazione? La risposta è positiva. Sono le persone come Madre Speranza, donna semplice e fragile ma insieme forte e significativa; testimone di profezia e di speranza; di amore appassionato e di servizio consolante.

Oggi c’è grande bisogno di donne e uomini che si lasciano trasportare dall’ebbrezza della Pasqua; che sappiano distinguere la profezia dal buonismo; che si rifiutano di restare voci anonime e lucignoli fumiganti ma, sentendosi sedotti da Dio, vogliono essere protagonisti di una storia affascinante e nuova; donne e uomini “che – come dice Papa Francesco – non si accontentano di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente”, ma vogliono essere il riflesso della presenza di Dio; che hanno “conosciuto l’amore di Dio” e
l’hanno “seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie”; “che sono e vivono da amici di Dio”. “Il mondo ha bisogno di santi e tutti noi … siamo chiamati alla santità”.

“La vita del cristiano è comprensibile solo se in essa c’è qualcosa di incomprensibile” (Weil).

Essere santi non significa essere degli Ufo o dei supereroi, – “la differenza tra gli eroi e i Santi è la testimonianza, l’imitazione di Gesù Cristo: andare sulla via di Gesù” (Francesco)-, ma essere persone vere, mature, coraggiose anche se fragili, quelli della porta accanto, piccole e grandi insieme, capaci di andare contro corrente, perché “la santità è la misura alta della vita cristiana ordinaria” (NMI 31). Figli che sentono nel cuore di essere stati scelti dal Padre «prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati nella carità, predestinati a essere suoi figli adottivi» (cfr Ef 1,4-5). Quindi per parlare di santità basterebbe dire: “diventa ciò che sei”, cioè “sentinella che annuncia al mondo intero un nuovo mattino di speranza, di fraternità e di pace” (Giovanni Paolo II).

I luoghi della vita quotidiana (lavoro, scuola, fabbrica, casa, impegno politico e sociale, volontariato, ecc.), sono le palestre, in cui la fede incide, lascia il segno, diventa il motore giusto nel cammino della vita e la riempie di senso. Così il calciatore diventa santo giocando bene la sua partita, il ragioniere facendo i suoi calcoli, la casalinga badando alla casa, il consacrato facendo della sua vita un canto di lode al Signore, contagiando i fratelli. Paolo VI diceva: “Cristiano, sii cosciente; cristiano, sii coerente; cristiano, sii fedele; cristiano, sii forte; in una parola: cristiano, sii cristiano”.

Il santo che sta “dentro la storia con amore”, vive “in modo tale che non si potrebbe spiegare se Dio non esistesse” (card. Suhard). Paolo afferma: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione”.

Papa Francesco parla di un «mercato religioso attuale con tante forme di falsa spiritualità senza incontro con Dio»: è la spiritualità dagli occhi chiusi e mani giunte, preoccupata di dare la precedenza al verticale (cielo) e non all’orizzontale (terra): come se la fede rientrasse nella logica delle parole incrociate; questo tipo di fede – incolore, insapore e inodore – che si crede di essere tutta per Dio, si identifica invece con quella del sacerdote e del levita, ripete lo stesso terribile saltello che li ha messi fuori dalla storia e rende quella strada maledetta perché sono passate due persone devote e pie, dimentiche che si diventa amici di Dio solo quando si è amici dei suoi amici – i poveri -, come ha detto Gesù a casa di Simone il lebbroso. Madre Speranza, donna di fede concreta, è stata tutta di Dio e per questo tutta per gli uomini. È stata una “contempl-attiva” (Bello): andava in estasi, ma sbucciava patate.

Mi piace soffermarmi su un aspetto importante della vita di Madre Speranza, quello della carità e dei poveri. Per lei l’amicizia per Gesù non è stato un sonnifero, ma una bomba. Un segno è il Natale in cui riuscì a dare da mangiare a circa 400 persone. Alle reazioni della padrona di casa che li voleva tutti fuori, significativa fu la risposta di Gesù: “Speranza, dove non possono entrare i poveri, non entrare neppure tu. Fuori da questa casa”. Benedetto XVI ha scritto: “Se nella mia vita tralascio completamente l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente “pio” e compiere i miei “doveri religiosi”, allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio” … Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama”(DC 18).

I santi camminano con gli occhi aperti, si guardano attorno e lontano, hanno le orecchie tese, tengono collegati occhi, cuore e mani, puntano al cielo ma tengono i piedi per terra e le maniche sbracciate (in paradiso si entra solo se si hanno scarpe e mani sporche), corre veloce quando c’è bisogno (come Maria che va da Elisabetta) e non confessa solo le distrazioni durante la preghiera ma anche quelle lungo la strada. “La mia aspirazione sono stati sempre i poveri” diceva Madre Speranza e continuava che in tutte le nostre case dovrebbero essere esposte queste parole: «Chiamate, poveri, e sarete soccorsi; chiamate, afflitti, e sarete consolati; chiamate, malati, e verrete assistiti; chiamate orfani e nelle Ancelle dell’amore misericordioso troverete sempre le vostre madri».

Paolo scrive ai Romani: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Ciò significa che la santità non è una scalata per gli arditi. Ma è come la creta che si lascia modellare dal vasaio e prende la forma che l’artista vuol darle. La carità fa terra bruciata attorno all’indifferenza, non mette fuori dalla storia, anzi immerge in essa. Dice Bonheffer: “Chi tiene solo un piede sulla terra, avrà solo un piede in Paradiso”.

Il Vangelo è stato paragonato a una grande opera musicale: ogni santo ne suona un brano. Senza i santi resterebbe una pagina muta, come uno spartito musicale quando nessuno lo suona.

La santità e la fede si possono misurare: il loro termometro è l’amore. Lasciamoci afferrare dalla dolcezza delle parole di Dio: “Ho un rimprovero da farvi; non avete più l’amore dei primi tempi. Come siete cambiati! Ricordate come eravate da principio, tornate ad essere come prima!” (Ap 2,4-5).

Essere “abitati” da Lui e “abitare in Dio”. È questo il nostro destino e la nostra “identità” più vera e stuzzicante. L’amore trascina, non si recita, si vive. Non sempre brilla ma sempre consuma.

Incontrare Gesù è pericoloso e disorientante, ma per questo è interessante e intrigante. Lui è la “mia dolce rovina” diceva P. Turoldo.

“Non lo sapevo” lo si può dire per le verità della fede, ma non per la carità. Quando incontriamo un uomo che soffre, sappiamo tutto ciò che dovevamo sapere. Quando vediamo la miseria, abbiamo visto tutto quello che dovevamo vedere. Tutti siamo chiamati a diventare “tenerezza e misericordia” (Mt 15,32), “accoglienza” (10,49), cura amorevole (Lc 10,29-37), difesa coraggiosa (Mt 26,10; Gv 8,7. Madre Speranza diceva alle sue suore: «dovete essere madri – molto madri – per questi poveri bambini… date loro il necessario prima che a voi stesse».

Dio e il povero sono talmente uniti da essere parenti. Gesù li chiama: “fratelli più piccoli”. Dall’incarnazione tutto è sacro, cioè degno di Dio. Egli infatti abita il tempio ma anche la fame, la sete, la povertà, la prigione, il barcone, l’ospedale, la solitudine. I poveri si cercano. Non stanchiamoci di cercarLo, tenendo conto che è imprevedibile: “quando lo cerchiamo nel tempio, lui si trova nella stalla; quando lo cerchiamo tra i sacerdoti, è in mezzo ai peccatori; quando lo cerchiamo libero, è prigioniero; quando lo cerchiamo rivestito di gloria, è sulla croce ricoperto di sangue” (Frei Betto).

Madre Speranza diceva: «La carità deve essere il nostro distintivo e la virtù che deve portarci ad amare i poveri come noi stessi».

Per lei credere non è stato solo tenere le mani giunte, ma è anche prendere posizione, è sbracciarsi per curvarsi sull’uomo mezzo morto lungo la strada, per avvicinare il lebbroso, per fermarsi al pozzo con la samaritana ed entrare a casa di Zaccheo. Ogni atto di carità è un atto di fede è lasciarsi coinvolgere nell’avventura della risurrezione, è un atto di carità. Ma non tutti gli atti di fede sono atti di carità. Questo dovrebbe farci riflettere!

Chiudo porgendo a voi e a me un augurio che prendo da Madre Speranza, facendolo diventare preghiera: «Chiedo al buon Dio che le mie figlie (io aggiungo tutti noi) compiano la loro missione, essendo il conforto degli afflitti e le madri dei poveri; che, estese per il mondo intero, diffondano il regno di Dio più con le opere degli esempi che con le parole e che, aiutate da lui, possano innalzare in ogni luogo e in ogni tempo la bandiera con il motto “tutto per amore”: cioè nulla per denaro, onore o interesse alcuno».