Antonella Mastrangeli

Roma

A me lo ha chiesto Federico, di fare questa esperienza. Mi sono sentita proprio incapace, inopportuna, perché quest’ argomento è troppo grande, quello della Misericordia di Dio vissuta nel pane quotidiano. Cosa posso dire? Poi ho pensato che sempre ci è chiesto di ubbidire e forse questo lo vuole Gesù e mi ha fatto bene, perché questi ultimi giorni li ho passati a riflettere su alcune cose, su alcuni passi importanti della vita. Infatti, solo questo voglio comunicarvi: alcune considerazioni, alcune riflessioni che mi sono venute da dentro.
 
Io sono Antonella, ho 46 anni e sono sposata con Roberto da 23 anni ed ho 6 figli. Ecco un po’ di storia…
 
Sin da ragazzina ho avuto la fortuna di essere seguita dai sacerdoti e dalle suore dell’Amore Misericordioso: loro ci hanno educato ad una sensibilità particolare, ad essere per l’altro motivo di speranza, a far scoprire Dio all’altro. Eravamo ragazzine e non sapevamo neanche di fare una esperienza importante per la vita. Io come Rossella: lei era a Fratta e io con Madre Mediatrice che non ci faceva passare. La chiamavamo il tunnel, cercavamo di andare dalla Madre e lei lì come un carabiniere! A volte ci riuscivamo e a volte no, però avevamo capito che Pedro portava la Madre a fare una passeggiata alle 15 e noi ci nascondevamo dietro i cespugli, la Madre ci salutava sempre, ci sorrideva, ci benediceva. Questi fatti, riflettendoci oggi, devono essere letti come una preparazione per la vita che il Signore ha voluto per noi. Io quando vedevo la Madre ero felice, felice da morire.
 
Un’altra cosa molto bella era che il nostro parroco, quando ci vedeva fuori dalla chiesa a perdere tempo, ci diceva: “Andiamo, venite con me, andiamo a trovare una famiglia” e io dicevo: “ma io?” e lui “sì, venite con me!”. E così andavamo con lui nelle situazioni di vita quotidiana, di quartiere: a chi era nato un figlio, a chi era morto un parente, chi aveva una malattia… E io pensavo sempre: quanto è forte, quanto amore ci mette questo uomo, e io questa cosa la devo imitare perché è bella, dà conforto. Sto parlando dell’esperienza dei miei 15 – 16 anni, quando ero ragazza. Poi la chiamata ad essere laica dell’Amore Misericordioso è stata veramente un gran regalo, perché finalmente, dopo 11 anni di matrimonio camminavo insieme a mio marito, che fino allora mi seguiva, mi era sempre a fianco, ma non è che condividesse tanto le mie scelte, però mi lasciava fare, non mi ha mai ostacolata in niente.
 
Una volta iniziato il cammino di fede insieme, il Signore ci ha messo subito alla prova! Il fratello di Roberto, che avevamo già assistito perché tossicodipendente quando seguiva il programma di Mario Picchi, molto forte e impegnativo, ora cominciava a star male e la sua sieropositività era diventata una malattia conclamata. Toccava a noi, perché Roberto è orfano dei genitori da bambino e perché l’altro fratello non poteva seguirlo. Allora ho pensato subito: e tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora, questi 10 anni, non sono serviti a niente? Tutte le riunioni che facevamo e tutte le parole che ascoltavo, non facevano altro che parlare di amore, di compassione, ma poi mi prendeva la paura. Allora guardavo il Crocifisso, chiedevo a Lui la forza necessaria e quale decisione prendere. Roberto era fuori di testa, aveva avuto forti segni di ribellione ed io mi sentivo proprio incapace, era una cosa davvero più grande di me. Adesso penso che sia stato il giusto atteggiamento per far lavorare bene il Signore. Con la Sua forza e con l’aiuto dei fratelli abbiamo assistito ed amato Sandro con un amore che veniva dall’alto. La sola cosa che ci trasmetteva era questo suo bisogno di sentirsi perdonato, di sentirsi amato, di sentirsi assistito e ci ha fatto capire che cosa è la misericordia.
 
Sì, io vivo alla giornata cercando di imitare Gesù, chiedendo a Lui la forza quando non ce la faccio, chiedendogli di allontanare da me tutte le cose che mi rendono superba, io permetto a Gesù di agire nelle situazioni che mi mette davanti. E’ Lui che mi conduce, è lui che mi fa fare le cose. Così Sandro morì dopo 4 giorni dalla nascita della mia sesta figlia, e le persone non sapevano se farci gli auguri o le condoglianze. C’è stato un attimo di confusione totale, e lì per lì a me è dispiaciuto tanto, e poi ho capito che il Signore gli aveva permesso di avere questo purgatorio, perché come malattia è davvero brutta, si soffre tanto e soffre molto chi gli sta accanto. E allora di corsa in paradiso, perché solo così si poteva capire questa morte!
 
Tutta questa storia perché ve l’ho raccontata? Vi giuro che è la prima volta che riesco a parlarne in pubblico. Però sicuramente avere a che fare con questo tipo di “povertà,” comporta un cambiamento: questa esperienza mi ha cambiato. Ho vissuto una sensazione che provo sempre davanti alle situazioni che mi sembrano impossibili: un profondo vuoto che mi fa sentire incapace, un buco allo stomaco come quando stai per svenire e poi una profonda compassione che ti spinge all’azione. Sabato scorso, con Anna siamo venuti alle piscine e ci siamo comunicate la stessa sensazione di fronte a qualche episodio, verso il quale forse non eravamo molto preparate. E’ questo profondo senso di smarrimento che ti spinge ad agire. La misericordia di Dio è vivere alla giornata con il cuore in pace, con il cuore buono, con l’attenzione a tutto ciò che gira intorno a noi.
 
Vi dicevo che ho 6 figli, uno diverso dall’altro. Mi lamento spesso di questo “incarico” che mi ha dato il Signore perché mi sembrano tanti, mi sembra di non farcela, ma poi li guardo e lo ringrazio perché sono stupendi. E poi sapeste quanto aiutano i figli a maturare, sono il termometro della situazione. A seconda di come loro reagiscono, capisco se io mi muovo dentro o fuori i binari dell’amore. A volte la responsabilità del genitore sembra essere in disaccordo con l’amore di Cristo, ma pure qui mi sembra di avere chiara una cosa, che devo vivere la giornata con semplicità e senza fare programmi. Questo non vuol dire viverla alla carlona, so bene che devo fare le cose essenziali, però tutto il resto non lo posso programmare e così mi sento più libera per ciò che è più giusto o più opportuno fare, stare con un figlio piuttosto che con un altro, o fare una cosa fuori casa. Un’altra cosa ho capito: dico sempre ai miei figli e a mio marito le mie debolezze, chiedo scusa se sbaglio e questo vi giuro mi costa tanto, perché sono molto orgogliosa. Considerate che con loro spesso ho un atteggiamento da maresciallo, ma altrimenti come si farebbe con una famiglia numerosa! Pensate solo al mattino, quando è il momento che tutti devono uscire di casa: succede di tutto! E chiedere scusa è la cosa migliore che posso fare per superare l’ira o la stanchezza che ingiustamente scarico su di loro. Ho sempre in mente quella breve lettura della compieta: “non cali mai il tramonto sulla vostra ira”. Per quanto questo dipende da me cerco di usare questo atteggiamento come uno strumento della palestra dell’amore.
 
Ho sempre avuto una cosa chiara: che tutte le richieste, tutte le persone o le situazioni che viviamo, sono quasi sempre da non prendere sotto gamba. Allora anche il lavoro che il Signore mi ha donato mi fa stare a stretto contatto con la gente, e forse non è un caso, anche qui cerco di vivere la giornata lavorativa in modo semplice, convinta che tutte le persone che incontrerò dovranno sentirsi a proprio agio e star bene. Il mio sforzo non basta; mi raccomando sempre al Signore, perché a volte non sai qual è la cosa migliore o si perde la pazienza con estrema facilità. Ma Gesù mi aiuta sicuramente e allora potrò essere utile per qualcuno. Prego perché, stando a stretto contatto con le persone, mi rendo conto che c’è tanta solitudine, tanta disperazione, tanta falsità. Oggi conta solo l’immagine. A volte ci complichiamo la vita da soli, oppure c’è l’incapacità delle persone di fare le cose più semplici e questo mi crea tanta tenerezza nei loro confronti. Poi penso che se il Signore non mi avesse cresciuta all’ombra delle sue ali, io sarei stata una di loro e questo lo credo fermamente.
 
Mio marito e i miei figli spesso mi dicono che io giustifico tutti, anche quelli che non capisco. E’ così solo perché mi sono sentita tanto amata da Gesù, amata anche se mi lamentavo, amata malgrado le mie contraddizioni, amata perché tutto sommato io non sono una donna tanto capace di fare tutto ciò che mi si presenta davanti, però mi sono sempre sentita protetta e quindi ad un certo punto ciò che senti in qualche modo lo devi fare. Allora, se io riesco a commuovermi per mio figlio e a non giudicarlo o rimproverarlo malamente, se riesco ad accettare mio marito invece che cambiarlo nelle cose che penso siano da cambiare – che poi anche qui è tutto da vedere se quello che penso io è giusto oppure no – se riesco a sorridere al collega, al cliente e a non pensare che forse mi sta buggerando oppure che mi sta passando una pratica “bollente”, una situazione rognosa, forse vivo meglio. Se io abbandonassi quell’atteggiamento di pretesa che a volte ho nei confronti della mia famiglia o delle persone in genere, vivrei meglio.
 
Un sacerdote, a Collevalenza, in una confessione mi disse dopo che avevo accusato le mie mancanze: “Non ti preoccupare, comincia piano piano dalle cose che conosci meglio di te e che devi modificare, e affidale al Signore”. Oppure ricordo P. Enzo che quando in confessione gli dicevo: “Ma padre Enzo io sono così”, mi rispondeva: “Non ti preoccupare è carattere!”. “Ma padre io…”. “No, no è temperamento”. Questo mi incoraggiava tanto. Che bell’amore, che bella misericordia ha avuto il Signore verso di me, ed io devo fare altrettanto. Il segreto è semplice: dare ciò che ho ricevuto e che continuamente ricevo. A maggio poi ho letto un altro segno: mio marito ha deciso di proporsi come coordinatore locale ALAM. Che gioia! Sapete cosa ha detto dopo l’elezione? “Voglio solo dare ciò che ho ricevuto, consideratemi al vostro servizio”. Vi ripeto, non c’è nulla di nuovo in tutto quello che vi ho detto, solo un po’ di sensazioni e tanta voglia di vivere la spiritualità dell’Amore Misericordioso. Madre Speranza interceda per noi!